Ucraina, gli invii di armi sono un problema per l’Occidente
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Quando le ho parlato in videoconferenza il 25 maggio, Ekateryna Derkach aveva gli occhi stanchi. La notte precedente, secondo l’aeronautica militare dell’Ucraina, le forze russe avevano lanciato 36 droni Shahed di fabbricazione iraniana verso infrastrutture chiave e obiettivi militari nelle regioni occidentali del paese. Dopo essere stati svegliati dal fischio continuo degli allarmi antiaerei, Ekateryna, suo marito Andrey e i suoi figli di 6 e 12 anni hanno cercato riparo nel corridoio e nel bagno del loro appartamento a circa 25 chilometri miglia da Kyiv.

A causa dei bombardamenti aerei russi sulle città ucraine, la cittadinanza del paese è in uno stato di allerta costante: “Non riusciamo a dormire la notte, siamo tutti molto stanchi“, racconta Derkach, 36 anni, responsabile stampa di un’azienda informatica statunitense con un ufficio di ricerca e sviluppo a Kyiv. Fortunatamente, però, è sempre più raro che questi attacchi si lascino dietro delle vittime, perlomeno nella capitale ucraina, che si trova sotto un ombrello difensivo di sistemi antiaerei, tra cui le batterie di missili Patriot di fabbricazione statunitense, che secondo le ricostruzioni a maggio avrebbero abbattuto 13 missili ipersonici Kinzhal, tra le armi più sofisticate dell’arsenale russo.

Filiera sotto pressione

Ma la difesa aerea e gli altri elementi centrali dello sforzo bellico dell’Ucraina dipendono dalle sempre minori forniture di armi da parte di Stati Uniti e Nato. Nel sud-est, le forze armate ucraine hanno iniziato l’attesa controffensiva dispiegando enormi quantità di mezzi bellici, come razzi a guida laser, proiettili d’artiglieria, munizioni per obici e naturalmente i droni, che per certi versi rappresentano l’arma principale del conflitto. Le esigenze della guerra hanno messo a dura prova la catena di approvvigionamento bellica non solo dell’Ucraina ma anche degli alleati statunitensi ed europei (con l’Unione europea che nel frattempo è in procinto di proporre la creazione di un fondo da 20 miliardi dedicato ai rifornimenti per l’esercito ucraino). Le scorte di razzi, missili e delle componenti necessarie per costruirli – dal titanio ai cuscinetti a sfera, passando per gli esplosivi per le munizioni, i motori a razzo, i microchip, i circuiti integrati e i sensori ottici – stanno raggiungendo livelli pericolosamente bassi. Gli Stati Uniti hanno già interrotto l’approvvigionamento dei Javelin, i missili anticarro portatili a lungo raggio, fondamentali per fermare l’offensiva russa all’inizio del conflitto.

Siamo al punto in cui, per alcune cose come l’artiglieria, se volessimo dare di più agli ucraini, dovremmo togliere queste cose ad alcune delle nostre unità della Guardia Nazionale – spiega Marc Cancian, consigliere del think tank americano Center for Strategic and International Studies –. Siamo già al punto in cui [i funzionari della difesa statunitensi, nda] non sono tranquilli. La domanda è se il loro disagio sta aumentando“.

La guerra in Ucraina, in sostanza, ha messo in luce le difficoltà di continuare a rifornire un esercito moderno in un conflitto prolungato e ha spinto gli Stati Uniti a ripensare il finanziamento e la struttura delle proprie catene di approvvigionamento militari, che da tempo si basano su un piccolo numero di aziende produttrici giganti, su fabbriche centenarie e sulla logica mutuata dall’era della Guerra Fredda. Secondo diversi analisti militari, il futuro del complesso militare-industriale potrebbe essere molto più decentralizzato, con piccole officine, start-up tecnologiche e piccoli produttori ad alimentare il settore della difesa. Per molti versi, si tratta di un modello che assomiglia all’industria della difesa ucraina, che per necessità è diventata più piccola e iperflessibile, con droni e altri dispositivi progettati e costruiti, spesso al volo, all’interno di officine e garage.



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di Jeff Link www.wired.it 2023-07-21 04:10:00 ,

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